
L’ARTE DELL’ACCOGLIENZA È UNA CIOCCOLATA CALDA
Quando l’ospite era sacro e il soggiorno durava un mese; quando la cucina significava prodotti freschi e antiche ricette di famiglia; quando villeggiare era sentirsi accuditi; quando non mancavano mai fiori e biancheria ricamata: ecco l’albergo che non c’è più!
Composta ma elegantemente ostinata, Donna Dolores Mercedes Bernardi è la personificazione dell’accoglienza che non c’è più. Disillusa sulla nuova generazione che avanza, dall’idea di vacanza in camper e del fine settimana al B&B, la padrona del “Digonera Historic Hotel” ritiene che tradizione e passione per l’antica arte dell’accoglienza abbiano ceduto le armi alla vacanza “globalizzata” in cui manca tutto ciò con cui è stata educata da papà Bernardo e mamma Cherubina: l’attenzione per le piccole cose, la cura dell’ospite.
- Mercedes Dolores Bernardi
“Non riesco ad accettare che latte e Nesquik abbiano preso il posto della cioccolata calda con la panna fresca e le frolle”, confessa sconsolata Dolores Bernardi, albergatrice a Digonera.
E come dare torto alla signora che, in 70 anni di vita, ha vissuto appieno tutta un’altra atmosfera e ha offerto ai suoi ospiti tutte altre vacanze? Costruito da uno zio nel primo dopoguerra, Leone Ballis, l’edificio è passato nel 1938 alla famiglia Bernardi che, inizialmente, lo ha fatto funzionare come bar-ristorante-piccolo emporio, e che poi, con l’aggiunta delle camere, anche come albergo.
Qui di fronte c’è una fontana che aveva lo stemma del fascio e che nel Dopoguerra papà Bernardo, a suo rischio e pericolo, fece saltare a picconate. Qui -nel cuore delle Dolomiti- lontano da guerra e soprusi, venivano a rinfrancarsi veneti e lombardi di città. E, proprio qui, per loro, si avvicendavano in cucina le donne del paese, in una gara tra chi avrebbe presentato la migliore specialità. “Ora invece – ironizza l’albergatrice – il massimo della ricerca gastronomica è l’insalata mista o una centrifuga di frutta …!”
Mentre a quel tempo era diverso: “Era cucina casalinga – ricorda lei – ma si cucinava davvero: le zuppe, la pasta a mano, il ragù con il pomodoro fresco, non certo con la conserva come voleva fare quest’estate il cuoco stagionale”, è il suo grido di dolore.
Se fosse per Mercedes, sarebbero ancora in auge i valori con cui è cresciuta: la semplicità diversa della rincorsa al Dio Denaro, l’amore per le piccole cose, e soprattutto la cura per i dettagli: “Un francese mi ha fatto i complimenti perché i fiori non sono mai sciupati”.
Dal 1975 in albergo lavora anche Lucia, cameriera storica e vestale del Verbo della sua padrona: “Come farò quando andrà via? Lucia anticipa i desideri degli ospiti. Ormai il personale non è più all’altezza di un’accoglienza come si deve”.
Da queste parti, anche il mestiere di cuoco sta diventando una rarità. I giovani d’oggi seguono gli chef in televisione ma cercano lavoro alla Luxottica. Minimo investimento, risultato sicuro.
“Anche il servizio ristorante in albergo è sempre meno richiesto – dice la signora Mercedes – sempre meno persone siedono a tavola per ordinare un piatto di selvaggina, una zuppa o gli gnocchi fritti. Né i cuochi paiono interessati a valorizzare i prodotti più semplici come la ricotta affumicata e i formaggi di Malga Laste”.
“Un tempo invece, appena chiuse le scuole –racconta la signora Mercedes –arrivavano le grandi famiglie romane, toscane o milanesi e si fermavano 1 mese. Da noi si sentivano a casa. Alcune vengono ancora a festeggiare i matrimoni dei nipoti”
Almeno tre generazioni di turisti (ma una famiglia romana è alla quinta!) sono cresciute all’Hotel Digonera. Gli ultimi grandi lavori di ristrutturazione sono del 1995: è stato aggiunto l’ascensore, rifatti pavimenti e impianto elettrico, ricavata una piccola sauna finlandese. Il Digonera Hotel non è un superlusso, ma un semplice tre stelle; non vanta servizi o gadget da villaggio turistico, ma è una casa accogliente, arredata con cura, ricca di storia.
Ancora oggi entrando nel suo albergo, a 4 chilometri dal paese di Pieve di Livinallongo nella piccola omonima frazione di Digonera di Laste (Rocca Pietore), ad accoglierti è la forza della tradizione che ti investe con le boiserie in legno vecchio, i cassettoni autentici che raccontano altre storie, l’originale stufa in maiolica, attorno a cui l’inverno è il periodo più bello dell’anno, e il fuoco che scoppietta sempre nel camino, il passare del tempo lo segna il pendolo del bisnonno e le tappezzerie cucite a mano sono come quelle di famiglia“
Mercedes ha un timore segreto, che suo nipote Carlo (anche consigliere comunale a Rocca e molto attivo nella comunità) non voglia proseguire con la stessa impronta di gestione. Lui la guarda con affetto, con profondo rispetto, ma si vede che, sotto sotto, crede che il turismo oggi abbia altre priorità e aspettative.
“E dopo di me – dice infatti con un velo di preoccupazione l’albergatrice – chi penserà ai fiori freschi sopra i tavoli?”.
Il cruccio deve essere stato condiviso più volte in casa perché la nipotina, 8 anni, Sofia, che volentieri si lascia coinvolgere nelle piccole faccende quotidiane, l’altro giorno lei ha detto – e finalmente la signora Bernardi nel raccontarcelo sorride serena – “non ti preoccupare zia, quando muori ai fiori ci penso io!”.
Testi a cura di Lucia Filippi
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