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PIO E IL TESORO IN UNA SCARPA

Il calzolaio di Colle Santa Lucia ha oggi 91 anni e per 75 ha fatto e riparato scarpe a due passi dalla chiesa. Un mestiere imparato dal papà che un giorno doveva sposarsi ma partì per la guerra.

La memoria dei nostri cari spesso è in un’immagine, una lettera, un oggetto prezioso. Per Pio Colcuc, 91 primavere, di cui 75 trascorse al banchetto da calzolaio, il ricordo di suo papà Giovanni e di sua mamma Candida è invece tutto racchiuso in questa scarpa fatta a mano più di 100 anni fa che ancora oggi, nel suo meraviglioso retrobottega da Mastro Geppetto, gira, solleva, accarezza e ripone con delicatezza infinita.

Correva l’anno 1914 e i venti di guerra spiravano anche su Colle di Santa Lucia dove una giovane coppia stava progettando il proprio matrimonio. Anzi, tutto era pronto ormai.

Giovanni, giovane baldanzoso calzolaio del paese, si era costruito da solo il paio di scarpe da indossare per la cerimonia: la morbida pelle di bovino, la tomaia con i singoli chiodi fatti a mano in legno, la suola resistente ed elastica con cui nel giorno tanto atteso avrebbe varcato l’ingresso della meravigliosa parrocchia a strapiombo sulla Valle Fiorentina. Ma la chiamata alle armi rimandò di 5 anni quel matrimonio e, divenuto maestro calzolaio per l’esercito austro-ungarico in Turchia, Giovanni Colcuc, tornò a Colle con un’aurea affascinante e una professione solida che naturalmente, dopo avere finalmente impalmato la fortunata Candida, e con lei costruito famiglia, trasferì a suo figlio Pio.

Quella bottega artigianale da calzolaio, negli anni ’60, è diventato un negozio di scarpe. Ci si trova ancora oggi un po’ di tutto: dalla pantofola da casa alla pedula di montagna per l’escursionista smemorato.

Ma il richiamo è dietro al bancone, nella penombra, come in una immagine da presepio, è qui che Pio trascorre ancora le sue giornate.

Per anni, anche lui, ha fatto tutte le scarpe a mano: “18-20 ore di lavoro – dice l’anziano calzolaio – poi è diventato difficile trovare i materiali di conceria e anche rispetto ai prezzi delle scarpe fatte in fabbrica, tanto lavoro non valeva più la pena”.

Così Pio, con la sua macchina da cucire datata 1900, prezioso lascito di un compaesano emigrato in Argentina, ha proseguito facendo riparazioni, creando piccoli oggetti con gli avanzi di materiali, tenendo insomma vivo il ricordo di questa famiglia industriosa e della preziosa arte artigiana.

Per chi, dalla piazza principale di Colle, scende alla Cesa de Jan, affacciarsi nella bottega di Pio è un piacere per gli occhi e per il cuore.

 

Testi a cura di Lucia Filippi

Photo Credits © Capitale Cultura Group